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Posted by on Dic 11, 2016 in Approfondimenti | 0 comments

Una storia dimenticata o volutamente occultata (Parte Terza)

Una storia dimenticata o volutamente occultata (Parte Terza)

Un primo, temporaneo, ritorno del papa a Roma avvenne nel 1367, quando Urbano V ruppe gli indugi e preparò la partenza, che avvenne solo dopo aver ricevuto rassicurazioni riguardo allo stato pacificato in cui regnava la città di Roma. Il 16 ottobre, scortato da un poderoso esercito su cui svettavano i simboli della Felice Società, fece il suo ingresso in Roma.

Tuttavia, dopo i primi giorni di festa e qualche settimana impiegata a studiarsi, la convivenza tra i due poteri forti della città divenne critica. Il governo comunale non volle cedere l’assoluta autonomia fin ora goduta, quindi Urbano V, di forza, soppresse il governo dei sette riformatori, eleggendo un nuovo ordine formato di 26 Buonomini scelti tra i Caporioni della città. Non ebbe però il coraggio di privarsi della forza e delle capacità dei Banderesi, concesse loro il comando della milizia e la gestione finanziaria del comune. Numerose sono le testimonianze del loro operato in questo periodo. Sono sul percorso che accoglie la regina Giovanna di Napoli e il re di Cipro. Sono attivi nella guerra contro Francesco Di Vico, ribelle alla Chiesa e al governo di Roma. Proprio in questa occasione, i Banderesi ne approfittano per riprendere il potere politico della città.

Urbano V si era trasferito a Viterbo per seguire l’evolversi della guerra, mentre i Banderesi iniziarono una profonda e ampia propaganda a loro favore. Così il 20 aprile del 1370 il papa invia alla città una diffida contro chiunque promuovesse, in parlamento, assemblea, conversazioni private il ritorno del governo popolare.

Tuttavia il papa continuava ad allontanarsi dalla città. Sul finire del 1370 Urbano V si spostò a Montefiascone per seguire lo scontro con il Di Vico. Per non perdere la presa sulla città eterna, invia una serie di articoli riformatori del governo del comune. A Roma non c’era nessuna intenzione di accettarli e furono rispediti a Montefiascone con le modifiche del Consiglio capitolino. Dopo una serie di ambascerie e abboccamenti si raggiunge una tregua: la riforma prevedeva che da sette conservatori si scendesse a tre, i Banderesi prendevano il nome di Esecutori di Giustizia con il comando della milizia e della riscossione delle tasse, ma nella realtà mantennero il controllo della città.

Urbano V spinto ed esortato dai suoi cardinali d’oltralpe, che desideravano tornare tra le tranquille mura francesi, intraprese il viaggio di ritorno ad Avignone dove morì nel 1371.

Gregorio XI (1371-1378) salì al soglio pontificio. I Banderesi conferirono al papa un titolo ad honorem, privo di ogni significato, per creare buoni rapporti.

Le schermaglie ripresero di lì a poco, vano fu il tentativo di Gregorio XI, nel 1373, di imporre un senatore di sua nomina o di deliberare sulle scelte del comune.

Tuttavia, nonostante l’opera dei Banderesi per il ripristino dell’ordine in città e nei territori di confine, il popolo romano risente della mancanza dei benefici economici della presenza della corte papale, garantiti da pellegrini, ambascerie estere e cerimonie sacre dall’elevata profusione di denaro. Dal maggio del 1374 riprendono le missive imploranti il ritorno del papa a Roma.

Le nuove insistenti preghiere della senese Santa Caterina e del poeta Petrarca fanno breccia nei pensieri di Gregorio, ma più di tutto lo convinse il timore di perdere territori che a uno ad uno si sottomettevano alla Repubblica Romana.

Nel 1375 molti furono i comuni che entrarono nella protezione capitolina tra i quali Rieti e Aspra, soprattutto dopo la vittoria nella guerra con il Di Vico.

Gregorio XI, il 13 settembre del 1376, intraprende il viaggio verso la capitale cristiana, preceduto da lunghi incontri tra i messi papali e i Banderesi per definire l’ordinamento politico, economico e militare della città. Fu costretto a soggiornare a Corneto per più di due settimane prima che si concordasse la cessione delle chiavi della città, della fortezza di Castel Sant’Angelo, di Trastevere e della città Leonina, tornando ad essere unico signore della capitale cristiana. I Banderesi mantennero il controllo militare ed economico del comune oltre una paventata indipendenza d’azione.

I Fiorentini scrissero innumerevoli lettere, ammonendo i Banderesi di non cedere alle false lusinghe di libertà, Gregorio XI avrebbe seguito le orme di Urbano V opprimendo la Felice Società.

Siglato il patto, il papa inviò alcuni conestabili scortati da armati a prendere possesso delle porte della città e di San Angelo.

Il 14 gennaio del 1377, il Pontefice parte da Ostia, scortato dai Banderesi, dai gentiluomini e i loro armati ed entra dalla Porta di San Paolo tra le grida di giubilo della popolazione. Terminò così il settantennio della cattività Avignonese.

I primi tempi sono di cortese convivenza. Gregorio XI non calca la mano per non istigar il popolo che vede nei Banderesi un simbolo della loro libertà e autonomia.

I nobili che avevano seguito l’ingresso trionfale del papa, speranzosi di tornare a governare la città, esortarono Gregorio XI a disfarsi dei Banderesi, e osservando il suo tentennare ordirono una congiura.

Luca Savelli, della nobile famiglia romana, con il conte di Fondi e altri 400 armati penetrano nella città, tuttavia i Banderesi seppero reagire e perseguirono gli assalitori con tale veemenza da dover far intervenire il papa stesso per chiedere clemenza.

Gregorio XI elesse un capitano e senatore della guerra, Gomez Albornoz, per evitare nuovi spiacevoli eventi.

Il capitano della guerra agì apertamente e dietro le quinte, giostrandosi tra le decine di dispute che vedevano la città di Roma in lotta con i Fiorentini, il comune di Vitorchiano, il Di Vico, raggiungendo un accordo di pace della durata di cento anni.

Gregorio XI morì il 27 marzo 1378.

Una delegazione di magistrati, gentiluomini e notabili del popolo, guidata dai Banderesi si reca dai cardinali e con risolutezza chiede l’elezione di un papa romano o almeno italiano. Per settantanni e oltre, l’Italia,  in particolare Roma, era stata abbandonata a se stessa, un papa vicino alle esigenze della sede naturale della cristianità avrebbe risollevato dalla miseria la città eterna.

I cardinali dal canto loro chiesero un giuramento solenne affinché il conclave fosse libero e inviolato e non fidandosi delle vaghe promesse dei Banderesi, incaricano il castellano francese Gandelin di fortificare Castel S. Angelo e fornirsi di cibo e munizioni a sufficienza.

Le visite dei magistrati per intimare l’elezione di un papa romano sono frequenti e accompagnate dalle grida del popolo.

I Banderesi assumono il controllo della città per garantire l’ordine ma eseguono anche il sequestro di ogni timone e vela d’ imbarcazioni del Tevere per impedire la fuga dei cardinali sempre più orientati al ritorno in Avignone.

Vengono blindate le porte di accesso alla città, i ponti e le strade anche con l’aiuto di armati giunti da Tivoli e Velletri. In piazza S. Pietro è posto un ceppo e una scure affilata come monito a tutti coloro che cercassero di turbare l’ordine e il conclave.

Dalla piazza si elevano le grida di «Romano lo volemo lo papa.»

L’8 aprile la tensione sale ulteriormente. False voci volevano eletto Francesco di Bar, cardinale inviso alla popolazione. La rivolta scoppia e i cardinali francesi fuggono come possono spargendo a loro volta la voce di aver eletto il vecchio cardinale Tebaldeschi.

La popolazione accorre per prostrarsi al nuovo papa che a stento e malfermo confessa la bugia. Confusi e trepidanti i cardinali rimasti in conclave propongono l’arcivescovo Bartolomeo Prignano. Il popolo non è soddisfatto poiché non romano, tuttavia i Banderesi vedono parzialmente accolto la richiesta poiché è italiano. Sedano dunque la rivolta e consentono al Pignano di assumere il titolo di papa con il nome di Urbano VI (1378-1389), conosciuto come uomo di virtù.

… Fine Parte 3 …

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